Domenica 16 aprile, festa di Pasqua, Benedetto XVI, papa emerito, ha compiuto 90 anni. Un bel traguardo di cui lui stesso ha ringraziato il Signore con queste parole: «Il mio cuore è pieno di gratitudine per i 90 anni che il Buon Dio mi ha donato. Ci sono state prove e tempi difficili, ma sempre Lui mi ha guidato e me ne ha tirato fuori, in modo che io potessi continuare il mio cammino e sono pieno di gratitudine soprattutto perché mi ha donato una così bella patria. La Baviera è bella dalla sua Creazione. Il Paese è bello per i suoi campanili, le case con i balconi pieni di fiori, le persone che sono buone. È bello, in Baviera, perché si conosce Dio e si sa che è Lui che ha creato il mondo e che questo è bene quando noi lo costruiamo insieme a Lui».

Più passano gli anni più emerge la figura poliedrica di papa Benedetto non solo come professore colto e raffinato ma soprattutto come pastore, che attraverso la delicatezza della voce e del tatto, sa testimoniare la mitezza e l’umiltà del cuore di Cristo. Ricordo l’ultima sua udienza pubblica, mercoledì 27 febbraio 2013. Eravamo tanti vescovi a salutarlo, con una piazza gremitissima di folla.

In quell’occasione la sua voce dolce e ferma espresse la sua fede robusta dicendo con sicurezza: «Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare. Un Papa non è solo nella guida della barca di Pietro…».

In queste parole c’è il suo «credo la Chiesa», la consapevolezza di essere «un umile servitore della vigna del Signore», l’accettazione di una croce non facile da portare, com’è espresso nella simbologia del suo stemma, un orso che porta un fardello pesante sul dorso. Mi pare di poter leggere gli anni di pontificato di Papa Benedetto come un tempo di gestazione nel dolore che ha preparato un futuro di speranza per la Chiesa. È stato un periodo difficile attraversato da turbolenze molto pericolose, penso alla tremenda vicenda degli abusi sessuali e la contorta trama del Vatileaks.

Tutto questo è avvenuto perché si era intrapreso un movimento di riforma che sta già portando i suoi frutti con l’attuale pontefice. Anche la sua rinuncia al pontificato va letta, oltre che per motivi di salute, anche nella direzione di sentirsi “servo inutile”, con la certezza che sono le mani forti e robuste del Signore a guidare la rotta della Chiesa. È troppo presto per esprimere un giudizio sul tratto di storia di questo pontificato, ma certamente appaiono fasci di luce che permettono di far emergere alcune coordinate che ne formano la trama.

Cito ad esempio: il mai separare fede e ragione; il porre a fondamento della riforma della Chiesa la continua ricerca della verità, rifiutando energeticamente l’insidia del relativismo; l’affrontare con coraggio anche incomprensioni e derisioni. La bussola che ha sempre orientato la vita di papa Benedetto è stata l’obbedienza.

Ricavo questo segreto dal libro-intervista “Luce del Mondo”, laddove scrive: «Il fatto è questo: quando al momento dell’ordinazione sacerdotale si dice “sì”, si può anche avere un’idea di quello che potrebbe essere il proprio carisma, ma si sa anche questo: “Mi sono rimesso nelle mani del vescovo e, in fin dei conti, nelle mani del Signore. Non posso scegliere quello che voglio. Alla fine, devo lasciarmi guidare”. In realtà, pensavo che il mio carisma fosse di fare il professore di teologia, e fui felice quando questo mio sogno si realizzò. Ma avevo sempre ben chiaro davanti agli occhi questa cosa: “Sono nelle mani del Signore e devo mettere nel conto la possibilità di dovere fare cose che non avrò voluto”».

Proprio nell’obbedienza c’è la chiave per interpretare la vita di questo pontefice che ha saputo nascondere le proprie sofferenze al mondo, rendendole tanto preziose agli occhi di Dio. Grazie, papa Benedetto! Continuiamo a ricordarti con affetto.