Riportiamo di seguito il racconto di Andrea Gallo, volontario di “Operazione Colombia” che ha visitato i campi profughi di Tripoli.

Ho lasciato Torino con molti timori. Con poche ore di volo sono arrivato a Beirut, di qui Tripoli. Tutto intorno parla del travaglio, dei problemi, delle innumerevoli vittime di questo fragile paese: la lunghissima guerra civile, i numerosi campi profughi palestinesi anch’essi con una pesante storia, gli edifici di Tripoli, città dalla cultura completamente medio-orientale, che portano i segni di scontri tra differenti fazioni, il relitto di un’auto esplosa quale monumento ad un incrocio.

Ancora qualche centinaio di metri a piedi ed entro con altri volontari di Operazione Colomba nel campo dei profughi. L’accoglienza è calorosa e subito si è ospiti nella tenda di una delle tante famiglie. Il libano ha circa quattro milioni e mezzo di abitanti, a questi si sono aggiunti più di un milione e mezzo di siriani, scappati per mettersi in salvo da una guerra terribile, estremamente complessa, crudele, divisiva, nella quale non è facile comprendere quali siano le fazioni che si stanno combattendo perché sono molte, perché mettono in atto tecniche di disinformazione, perché utilizzano situazioni per raggiungere obiettivi spesso non dichiarati e non noti all’opinione pubblica, perché è un’ area nella quale le grandi potenze esercitano i loro poteri, perché è uno stato che soffre ancora delle politiche coloniali passate.

Il 50% della popolazione siriana ha dovuto abbandonare la propria casa sia per stabilirsi in nuovi città, sia per espatriare. La guerra ha finora causato 500mila morti di cui 200mila civili e 24mila bambini; settantamila sono le persone scomparse nelle terribili prigioni del regime (tra questi il nostro Padre Dall’Oglio).

I siriani arrivano in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo in Libano e qui trovano le sistemazioni più disparate: chi ha più risorse si sistema meglio, chi ne ha di meno peggio. Il governo libanese non li riconosce, sono considerati clandestini, così possono essere arrestati in qualsiasi momento.

I libanesi da un lato mal sopportano questa invasione sulla loro terra, dall’altro cercano di sfruttarla. L’Akkar è una regione agricola, per i proprietari di terreno è più redditizio affittare i propri campi dove i profughi erigono baracche di legno con pareti di plastica, coperte e tappeti per ripararsi dalla pioggia e dal freddo.

I campi sono invasi dalle tende, così come crescono costruzioni in cemento armato interrotte appena c’è la possibilità di affittarle, polverose, senza finiture, senza porte e finestre.

La vita di queste persone è difficile da comprendere. È un limbo, una vita sospesa, in attesa di un futuro che forse non arriverà mai. I più ardimentosi cercano di sfuggire anche con i barconi, altri, rassegnati, hanno già deciso che lì sarà il loro futuro.

A questo si sommano le personali storie di dolore, le case distrutte e abbandonate, amici e parenti morti o spariti, la paure per le bombe e le violenze, senza trovane una ragione così come le speranze di un tentativo di primavera spezzate dalla repressione, il sogno di una società migliore liberata da tante catene.

Qui tutto è fuori dalla mia comprensione. Ci sono tante situazioni di estrema povertà (e penso che le parole non riescano a descrivere completamente la realtà), di vita in condizioni disperate, ed anche un accumulo enorme di sofferenze dignitosamente celate.

Riesco a colmare il vuoto tra me e quel che vedo e sento solo quando lo avvicino, nella mente, a ciò che nella mia famiglia ancora oggi risuona come la ferita delle violenze dell’ultima guerra. Queste persone stanno provando ciò che le generazioni che mi hanno preceduto provarono.

I corridoi umanitari

Operazione Colomba, Corpo non Violento di Pace, è presente in questo campo da alcuni anni con l’obiettivo di stare accanto ai profughi e, ove possibile, aiutarli nelle necessità più immediate e concrete, che sono molte.

Si sta collaborando con la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche e la Tavola Valdese ai corridoi umanitari. In questo modo si impedisce lo sfruttamento dei trafficanti di uomini che fanno affari con chi fugge dalle guerre; si concede a persone in “condizioni di vulnerabilità” (ad esempio vittime di persecuzioni, torture e violenze, famiglie con bambini, anziani, malati, persone con disabilità) un ingresso legale sul territorio italiano con visto umanitario e la possibilità di presentare successivamente domanda di asilo. È un modo sicuro per tutti, perché il rilascio dei visti umanitari prevede i necessari controlli da parte delle autorità italiane.

Dal 2016 ad oggi sono arrivati in Italia 1000 siriani in fuga dalla guerra.

Giunti in Italia, i profughi sono accolti a spese delle associazioni in strutture o case. Si insegna loro l’italiano, i bambini iniziano la scuola, si favorisce l’integrazione nel nostro paese e li si aiuta a cercare un lavoro. A Torino e dintorni sono in corso belle esperienze di accoglienza. Per esempio, l’Associazione Accomazzi, insieme alla Unità Pastorale 9 e la comunità Il Filo d’Erba di Rivalta, sta accogliendo una famiglia di Aleppo composta dai genitori e nove figli.

Un’idea per risolvere il conflitto

Operazione Colomba è impegnata anche nel trovare alternative valide all’attuale situazione dei profughi e promuovere vie di risoluzione al conflitto. Da alcuni profughi siriani è nata l’idea di una proposta di pace.

«Siamo fuggiti dalla Siria, il nostro Paese, perché non volevamo uccidere, né essere uccisi – raccontano -. Abbiamo pagato un prezzo enorme per la nostra libertà, desideriamo vivere liberi e con dignità. E vogliamo tornare in pace nella nostra Patria». Così si è espresso un amico siriano, a Trento da circa un anno grazie ai Corridoi Umanitari, insieme a tante persone che hanno aperto una strada dove prima non c’era. Ma come tanti che hanno perso tutto e sono ricchi solo della propria umanità hanno deciso di pensare in grande e hanno scritto una “Proposta di Pace” per la Siria.

Insieme, raccogliendo le parole e i desideri di tornare a casa, hanno pensato alla creazione di Zone Umanitarie in cui non possano avere accesso eserciti e gruppi armati e una pace che definisca responsabilità e costruisca una Siria per chi non vuole la violenza.

L’idea di partenza è semplice e nuova: «Perché al Tavolo dei negoziati siedono solo rappresentanti di chi partecipa alla distruzione del nostro Paese? Perché noi abbiamo solo la possibilità di scappare e non di mettere le nostre vite, le nostre idee, le nostre forze e speranze per fare una proposta di pace?».

Nel novembre 2016 scorso il primo incontro ufficiale: hanno presentato la Proposta al Vice Presidente dell’Unione Europea Frans Timmermans che ha detto di volerla incorporare nella proposta ufficiale della UE; a marzo a Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza.

Il 20 giugno 2017 hanno presentato la Proposta di Pace alla Camera dei Deputati, a Roma.

Operazione Colomba è a disposizione per organizzare incontri pubblici e per sensibilizzare sul tema ma anche per raccogliere aiuti concreti a sostegno delle famiglie siriane.

Chi fa la guerra ha dalla sua la forza delle armi, dei soldi che servono per comprarle e della violenza.

Chi vuole costruire una pace diversa da quella imposta dai bombardamenti e dalle uccisioni ha a disposizione la forza della solidarietà, la tenacia nell’affermare idee nuove ed aprire strade di cambiamento: un amore che diventa proposta politica, più forte della paura.

Andrea Gallo