È stata carica di emozione la visita di papa Francesco a Bozzolo, parrocchia di don Mazzolari, e a Barbiana, parrocchia di don Milani. In ambedue i luoghi egli ha rivolto ai fedeli, soprattutto ai preti là convenuti, parole piene di ammirazione e di affetto verso questi due parroci che hanno vissuto in modo profetico il loro ministero, pur in situazioni e forme diverse, ma in perfetta sintonia per il profondo legame con la loro gente.

Personalmente conservo questo ricordo di don Mazzolari. Ero giovane seminarista, quando nel 1956, egli venne ad Ivrea a predicare la missione cittadina, che però non riscosse molto successo. La gente non si era mossa per ascoltare la predicazione dei missionari.

La conclusione della missione avvenne in Cattedrale. Avevano portato anche noi seminaristi. Don Mazzolari, con voce vibrante, faceva vedere il crocifisso che teneva tra le mani, coperto da tanti baci di soldati morti in battaglia nella prima guerra mondiale e di condannati a morte durante la seconda, che lui aveva confortato con la sua vicinanza fraterna ed amica. Non ricordo più le parole di don Mazzolari, ma ho ancora negli occhi quel crocifisso che egli alzava come segno di speranza e di redenzione.

Mostrare il crocifisso è la missione del prete. Egli deve indicarlo a tutti, soprattutto ai lontani attraverso una carità sconfinata. Mostrare il crocifisso significa far incontrare ogni persona con l’amore di Dio, che non abbandona nessuno, anzi si china su tutti, in qualsiasi condizione ognuno possa trovarsi. Solo mostrando il crocifisso, e vedendolo presente nei crocifissi di oggi, si può generare speranza che non delude.

Mostrare il crocifisso significa anche «avere del buon senso!» Infatti non «dobbiamo sovraccaricare le spalle della povera gente» con pesanti fardelli. Mostrare il crocifisso è credere nella misericordia! Questo ha fatto don Mazzolari. Di don Milani ho letto, quando ero giovane prete, “Esperienze pastorali” e “Lettera a una professoressa”. Conservo nella memoria la bella esperienza che feci con il gruppo scout della mia parrocchia quando, durante un campo nel Mugello, ho fatto una camminata sino a Barbiana.

Salendo verso la collina in silenzio, la mente si poneva tanti interrogativi. Forse, allora, non comprendevo completamente la ricchezza della sua personalità e la profondità della sua profezia. Mi colpiva più l’incidenza sociale e politica del suo fare scuola partendo dagli ultimi e dai poveri. Condividevo la frase: «Non c’è nulla che sia più ingiusto quanto far parti uguali fra disuguali» (Lettera a una professoressa). Allora, mi affascinava la sua figura che classificavo come “contestatore” e coraggioso innovatore in campo educativo, facendo diventare la scuola palestra di vita, per una piena cittadinanza nella società attraverso il lavoro.

A quel tempo non riuscivo ad andare più in profondità e a capire che tutto il suo agire aveva le radici profonde in una fede totalizzante che si esprimeva nel donarsi totalmente al Signore e alla piccola comunità di cui era diventato pastore. Grazie, papa Francesco, per la tua visita a Bozzolo e Barbiana.

Leggendo i due discorsi mi sono convinto ancora di più di quanto è bella la missione del prete che gioca tutta la sua vita con la gente che il Signore gli affida. Quanti preti così abbiamo avuto anche nella nostra diocesi! Non dimentichiamoli! Essi hanno inteso la parrocchia come casa dalle porte sempre aperte, come «focolare che non conosce assenze». Imitiamoli!