Brindiamo con… una suora giuseppina di Pinerolo: i tempi dell’anima

Forte di un’esperienza fatta di missione e incarichi di responsabilità e di un’indole umile una suora di San Giuseppe esamina “Brindiamo?”

La lunga esperienza missionaria, gli incarichi di responsabilità vissuti nello spirito di servizio e un’indole umile. Non sappiamo quali di questi fattori (forse tutti e tre insieme) abbiano spinto la suora che intervistiamo a chiederci di non pubblicare il suo nome. Rispettiamo questo suo desiderio e di lei specifichiamo solo che appartiene alla congregazione delle suore di San Giuseppe di Chambery e Pinerolo.

 

Nella lettera pastorale il vescovo Derio scrive: «Ecco il rischio dell’uomo moderno: rimanere senza fiato a forza di correre. Anzi rimanere senza il fiato necessario per reggere alla corsa. Rimanere senza lo spirito che gli permetta non solo di funzionare, ma di esistere, di gioire, di sognare, di sperare, di ringraziare, di apprezzare». È un rischio che corrono anche i religiosi? Quale il rimedio?

 

Sì, è un rischio anche per noi religiose e religiosi, soprattutto nella nostra cultura occidentale: non per tutte/i, certo. Forse di più per chi di noi, a causa della scarsità di risorse umane (mancanza di vocazioni), cerca di “mantenere” presenze e attività apostoliche un tempo sostenute da “forze giovani”.

In certi casi, per rispettare scadenze e richieste, si può essere sommerse/i da una burocrazia complicata, per esempio negli ambiti educativo-scolastico, economico-amministrativo, socio-assistenziale di certe nostre opere.

Qualche volta anche noi vogliamo a tutti i costi convincerci che «ce la facciamo» ancora e andiamo avanti col fiatone, rischiando l’iperattività.

Mi viene in mente un raccontino africano. Un uomo decise di avventurarsi nella giungla africana accompagnato dai suoi portatori. Tutti procedevano instancabili e in tutta fretta superando colline e difficoltà. L’importante era andare avanti. Dopo alcune ore i portatori si fermarono e sedettero. «Come mai vi siete fermati? Siete già stanchi?!» Uno di loro rispose: «Signore, non siamo stanchi, ma abbiamo avanzato in maniera talmente veloce che abbiamo lasciato indietro le nostre anime: ora dobbiamo aspettare che ci raggiungano».

Rimedi? Aiutarsi vicendevolmente ad “accorgersi” di correre senza assaporare, sognare, ringraziare, sperare. Saper ammettere di essere «senza il fiato necessario». Regalarsi momenti di pausa, di preghiera o di riflessione per capire se la nostra anima è con noi.

 

Come percepisci, nell’attuale contesto sociale, la sete di spiritualità?

Difficile rispondere a questa domanda. La sete si può esprimere nella ricerca del riposo in luoghi di natura, di bellezza, di cultura; nel bisogno di essere ascoltati; nella corsa agli specialisti (psicologi, monaci, guru…)

A parer mio talvolta questa sete è una “arsura” che non si esprime a parole ma la si coglie negli occhi e nelle azioni di chi combatte ansia, solitudine, angoscia, preoccupazione, seminate per esempio dalla pandemia, generate dalla perdita dei propri cari, dalle notizie di guerre, disastri climatici e informazioni non controllabili che rimbalzano dai mezzi di comunicazione. È la sete di trovare e dare un senso alla propria vita.

Ovviamente c’è chi ha sete e ha già trovato uno “spazio per dissetarsi”, un gruppo di preghiera o di riflessione, la partecipazione a ritiri spirituali o a giornate di condivisione sulla Parola ecc…

 

In che modo oggi si può trasmettere l’esperienza della spiritualità? 

 

Essendo appunto “esperienza”. È qualcosa da vivere e quindi da sperimentare e gustare anche con gli altri. Chi scopre e assapora qualcosa di davvero bello e profondo desidera condividerlo. Un modo concreto è offrire occasioni di riflessione e spazi di silenzio per incontrare Gesù-Parola, Gesù Via-Verità-Vita, magari in mezzo alla natura per percepire la presenza di Dio, o in un ambiente sereno in cui «aspettare che l’anima ci raggiunga», come dissero i portatori del raccontino.

 

Il vescovo invita a fare spazio allo Spirito per lasciarlo lavorare. Quali sono le vie per aprire questi spazi? 

Credo che la parola chiave sia “ascolto”. Se io ascolto veramente una persona e cerco di farlo con amore, questa potrà credere di più che Dio ci ascolta perché ci ama.

Ascoltare Dio sarà, diciamo, una conseguenza: in questo ascolto il suo Spirito farà spazio in noi e ci donerà la sua pace a cui tutti aspiriamo.

Aiuti concreti possono essere la meditazione, la lectio divina, l’accompagnamento spirituale, ma anche la liturgia ben curata, la comunità di sorelle e fratelli che vivono esperienze in Cristo, un buon libro spirituale, la sosta in una chiesa alla luce dell’Eucaristia.