Non sprechiamo i doni della Terra!

L’appello pubblicato sul numero di Vita Diocesana Pinerolese dell’11 settembre contro lo spreco alimentare, valido sempre e, in particolare, durante il Tempo del Creato (che si concluderà il 4 ottobre).

 

 

Siamo degli spreconi, anche se a tutti spiace buttar via soldi! E allora quale miglior occasione del Tempo del creato – iniziato il 1° settembre e che si concluderà il 4 ottobre festa
di San Francesco d’Assisi – per mettere insieme solo alcune tessere di un mosaico molto esteso che mostrano la piaga dello spreco del cibo e ci sono di aiuto per evitare questo sperpero inutile, che oltre a danneggiare le nostre finanze, nuoce alla salute del pianeta.
Dati impressionanti fotografano la situazione mondiale, italiana, familiare.
Nel mondo, secondo la FAO, organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura, un terzo  dei prodotti alimentari diventa rifiuto. Sedici miliardi di tonnellate di cibo, con un costo di miliardi di euro. E si tratta di un dato parziale perché non si è ancora in grado di calcolare in modo
affidabile lo spreco dei prodotti ittici.
Anche in Italia, lo spreco fa numeri da capogiro: 15 miliardi di euro e – sorpresa! – lo spreco a livello domestico è di 12 miliardi, mentre quello di filiera, tra produzione e distribuzione, è stimato in oltre 3. Una montagna di rifiuti che pesa oltre 4 milioni di tonnellate! Ci fa riflettere che una
percentuale così alta dello spreco avvenga in famiglia, nelle nostre case.

 

Cosa si spreca insieme al cibo?

Lo spreco alimentare ci inganna, perché nasconde la sua vera portata. Facciamo solo qualche esempio. Se buttiamo una bistecca – perché andata a male o avanzata da una ricca portata – finisce in discarica anche un terzo di tutta l’acqua utilizzata per produrla.
Secondo Water Footprint Network, la produzione animale mondiale consuma oltre 2 mila miliardi di metri cubi di acqua all’anno. E ancora secondo la FAO gli sprechi alimentari legati alla sola agricoltura sono responsabili della dispersione di 253 chilometri cubi di acqua potabile.
Col pane secco finisce in pattumiera anche un terzo dell’energia impiegata per pompare l’acqua sui
campi, di quella per la lavorazione e il trasporto dei prodotti. Il 90% della deforestazione globale è dovuta, secondo il WWF, all’espansione dei terreni agricoli a discapito di altri usi del suolo: un terzo di questa espansione è servito a produrre il cibo che abbiamo buttato via. Senza dimenticare che gli scarti alimentari, quando finiscono in discarica, fermentano e producono metano (che ha potere climalterante 20 volte maggiore della CO2): la Commissione europea ha stimato che il 3% del totale dei gas climalteranti viene proprio dalla fermentazione nelle discariche. E secondo la FAO il 6% delle emissioni di gas serra globali sono legate agli scarti alimentari. «Se la perdita e lo spreco di cibo fosse un paese, sarebbe la terza più grande fonte di emissioni di gas serra al mondo», scrive Inger Andersen dell’UNEP (United Nations Environment Programme). Per non dire di tutti i pesticidi che avremmo potuto non disperdere nell’ambiente. Di nuovo danni al pianeta, alla nostra salute e consumo di risorse.

La fame nel mondo

Lo spreco si ripercuote anche sulle persone, quasi un miliardo, che soffrono la fame. Anche se nessuno di loro può beneficiare direttamente della riduzione dello spreco di casa nostra, dobbiamo considerare che più sprechiamo, più alta è la domanda sul mercato mondiale, più scarseggiano le risorse, più aumenta l’inquinamento. Di conseguenza i prezzi del cibo crescono e si moltiplicano le cause che generano i cambiamenti climatici. E chi ne soffre maggiormente sono soprattutto le popolazioni dei paesi del Sud del mondo, dove la piaga della fame dilaga.
Perché sprechiamo? Papa Francesco, al numero 71 dell’Esortazione Apostolica Postsinodale Querida Amazonia scrive: «I popoli indigeni amazzonici esprimono l’autentica qualità della vita
come un “buon vivere” che implica un’armonia personale, familiare, comunitaria e cosmica e si manifesta nel loro modo comunitario di pensare l’esistenza, nella capacità di trovare gioia e pienezza in una vita austera e semplice, come pure nella cura responsabile della natura che preserva le risorse per le generazioni future. I popoli aborigeni potrebbero aiutarci a scoprire che cos’è una felice sobrietà e in questo senso «hanno molto da insegnarci». Sanno essere felici con poco, godono dei piccoli doni di Dio senza accumulare tante cose, non distruggono senza necessità, custodiscono gli ecosistemi e riconoscono che la terra, mentre si offre per sostenere la loro vita, come una fonte generosa, ha un senso materno che suscita rispettosa tenerezza».

Quale stile di vita assumiamo nel Nord del mondo?

Cerchiamo di dare ora uno sguardo al modo di vivere del Nord del mondo, evidenziando le diversità profonde con il “buon vivere” di questi popoli. Prendiamo ancora a prestito le parole del Pontefice che nell’enciclica Laudato si’ offre una efficace definizione del consumismo: «Dal momento che il mercato tende a creare un meccanismo consumistico compulsivo per piazzare i suoi prodotti, le persone finiscono con l’essere travolte dal vortice degli acquisti e delle spese superflue» E ancora: «Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da comprare, possedere, consumare. In quest’orizzonte non esiste più neanche un vero bene comune».
Possiamo aprire una parentesi che riguarda lo stile di vita, nel quale non solo per il cibo, ma in generale, molti dei nostri acquisti sono superflui. Poco dopo aver acquistato un prodotto lo buttiamo con due effetti: ci riempiamo la casa di cose inutili e produciamo una grande quantità di rifiuti, che richiedono materie prime, acqua per la loro produzione e poi di nuovo materie prime e acqua per il loro smaltimento. Per non parlare della plastica usa e getta. Avete mai partecipato ad una festa, magari di beneficienza, al termine della quale cumuli di piatti, bicchieri, posate,  bottigliette vanno a finire in grandi sacchi neri nell’immondizia indifferenziata insieme ai resti del cibo? Per fortuna ora ci sono norme che impongono limitazioni alla produzione dei prodotti usa e
getta, ma è sempre fondamentale la nostra responsabilità.

Ora tocca a noi: nuovi stili di vita!

Azioni e trasformazioni, come chiede Papa Francesco, per un altro mondo possibile. C’è una profonda frattura, una linea netta che ha diviso questo tempo recente della nostra vita: la pandemia. Ma ci ha resi consapevoli che dobbiamo cambiare i nostri stili di vita? E che cosa sono?
Sono linee guida per cambiare il mondo attraverso un nuovo rapporto con le persone, con le cose, con la natura e con la mondialità.
Nell’enciclica Laudato si’ viene citato ben 21 volte il nostro stile di vita insostenibile, mentre sono almeno 35 le richieste esplicite di cambiamento: «Ogni aspirazione a curare e migliorare il mondo richiede di cambiare profondamente gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società» scrive ancora il Papa al n. 205. Quello che seguirà ora non è certamente una risposta risolutiva a tutte le contraddizioni che stiamo vivendo, ma piuttosto uno spunto per riflettere sui nostri comportamenti, anche in relazione al cibo. Non bisogna diventare eroi, ma cittadini responsabili e solidali e cristiani autentici nella vita di tutti i giorni. Che è fatta di diverse dimensioni, tante azioni, continue scelte quotidiane.
Papa Francesco dice che la cura autentica della nostra stessa vita e delle nostre relazioni è inseparabile dalla fraternità, dalla giustizia e dalla fedeltà nei confronti degli altri.
Ci propone una “grammatica” della cura: la promozione della dignità di ogni persona umana, la solidarietà con i poveri e gli indifesi. «Ogni persona umana è un fine in sé stessa, mai semplicemente uno strumento da apprezzare solo per la sua utilità, ed è creata per vivere insieme nella famiglia, nella comunità, nella società, dove tutti i membri sono uguali in dignità». È significativo il riferimento al mondo di soci, fatto nell’enciclica Fratelli tutti: per la società moderna
perde significato la parola prossimo ed acquista senso solamente la parola “socio”, colui che è associato per determinati interessi.
Leonardo Becchetti “economista della felicità” sostiene che non investiamo più il nostro tempo nelle relazioni. Sembra che solo le cose meritino il nostro tempo. In realtà il piacere legato al consumismo è un piacere fugace, dura l’attimo della novità e poi subentra la noia. È un consumo che ci consuma.

Dobbiamo quindi diventare consumatori critici, che vuol dire

  • pensare se un prodotto è realmente utile e necessario; scegliere prodotti che rispettano l’ambiente e il risparmio energetico;
  • preferire prodotti locali e artigianali; informarsi sul comportamento etico dei produttori (diritti dei lavoratori, lavoro minorile, inquinamento);
  • imboccare la via della sobrietà nell’uso delle risorse, anche attraverso scambi senza denaro, fondati sul dono e sulla reciprocità, che creano solidarietà, felicità, comunità.

L’atteggiamento critico rispetto al consumo riguarda tutto ciò che utilizziamo.

  • Consumare meno,
  • consumare meglio,
  • consumare tutti

è ancora l’invito del Pontefice. Non dobbiamo scoraggiarci pensando che il comportamento del singolo non abbia nessuna influenza sui cambiamenti. Dobbiamo piuttosto agire a livello personale e familiare mediante comportamenti quotidiani e possibili. Con scelte che hanno un effetto sulla comunità, che portano a fare rete, per unire forze e sinergie e incidere al livello superiore. A livello
istituzionale le intelligenti scelte di massa obbligano il sistema a cambiare le sue regole.

Torniamo al cibo

Ancora qualche dato significativo “sull’acqua che mangiamo”, quella nascosta dentro al cibo, per riflettere anche su come rimodulare la nostra dieta. Vediamo quanti litri di acqua all’incirca occorrono per produrre un chilogrammo dei cibi più comuni:

  • CARNE DI MANZO 15.000
  • CARNE DI MAIALE 6.000
  • POLLAME 4.300
  • LEGUMI 4.000
  • RISO 2.500
  • PASTA/CEREALI 1.800
  • FRUTTA da 500 a 800
  • VERDURA da 200 a 350

Modificare la dieta, dunque, diminuendo drasticamente le carni, è un imperativo pressante!
Così come è necessario raggiungere lo “spreco zero” del cibo, risparmiando, proteggendo il pianeta e prendendoci anche cura di coloro ai quali il cibo manca.
Ci viene in aiuto Andrea Segré, professore dell’Università di Bologna, uno dei massimi esperti a livello mondiale sul fronte dello spreco alimentate, fondatore del Last Minute Market, spin off della stessa università, e autore di numerosissime pubblicazioni sul tema. Tra tutte abbiamo scelto di segnalarne un paio.

La prima Il metodo a spreco zero per imparare in una settimana a non buttare più cibo. È un agile strumento «pieno di informazioni e consigli, per capire i nostri errori, liberarci dalle cattive abitudini, iniziare la nostra rivoluzione alimentare. In pochi passaggi impareremo a

  1. fare la spesa in modo intelligente e mirato, senza rincorrere facili e ingannevoli promesse del marketing; a conoscere a fondo il nostro frigorifero, organizzandolo al meglio per la conservazione dei cibi;
  2. a leggere le scadenze riportate sulle confezioni e a usare gli imballaggi in modo utile; a fare l’orto in casa;
  3. a evitare del tutto gli avanzi, dando agli ingredienti considerati scarti una nuova vita attraverso ricette magiche» recita una simpatica recensione.

La seconda è l’insostenibile pesantezza dello spreco alimentare, nel quale l’autore sottolinea l’importanza di sviluppare la nostra coscienza affinché l’alimentazione sana e sostenibile diventi un diritto fondamentale per tutti gli abitanti della terra, specialmente oggi che le disparità alimentari mondiali sono aumentate come conseguenza dell’emergenza pandemica e sono destinate a peggiorare a causa del conflitto fra Russia e Ucraina.